mercoledì 26 gennaio 2011

"I CONZI RA VIGNA" ossia le fasi di lavorazione della vigna

Al secondo anno, il vigneto già sviluppato subiva il trattamento completo che iniziava con la distribuzione del concime stallatico e l’immediata zappatura, che si faceva da ottobre a novembre. Negli anni seguenti tale concimazione si praticava ogni 3 anni. Essa veniva fatta con il concime stallatico messo con il "marru" dentro il "cufinu" simile al corbello e quindi versato nei "cancieddi i fumieri" con il fondo apribile e regolabile da cui fuoriusciva il concime mentre l’animale, che li portava sul dorso, camminava spargendolo in simultanea sui due filari.

Quindi si effettuava la zappatura intorno al piede della vite, della quale così facendo si tagliavano le radici superficiali, liberandola dalla terra, con la quale si faceva un’ampia conca, che raccogliendo le acque piovane autunnali, le faceva penetrare negli strati profondi dai quali saliva l’humor durante i caldi mesi estivi.

Da dicembre a gennaio si procedeva alla potatura che, per non sfruttare la vite, si faceva corta, cioè lasciando al tralcio fruttifero al massimo 1-2 gemme ed eliminando le altre.

Quindi, dalla fine di gennaio a tutto febbraio, si procedeva ad un’altra zappatura, che si eseguiva creando una "canaletta" abbastanza profonda al centro dei due filari delle viti nel senso longitudinale e ad aprile ne veniva fatta un’altra in senso trasversale. Si venivano a creare così quattro "paparuotti" o coni di terra per ogni spazio di quattro viti. Questa pratica serviva per azotare il terreno alla periferia delle viti alle quali nello stesso tempo procurava il rinnovamento delle radici periferiche o "braulami".

Intanto il vigneto ha fatto le nuove gemme o "pulluni" per cui si procede alla "spirucciatura o brucculiatura" o spollonatura, o scacchiatura o sfemminellatura lasciando le gemme più fruttifere.

A giugno si procede all’ultima zappatura, chiamata "conza di ciusu", spianando i "paparuotti" e rincalzando il piede della vite, a cui si addossa un trenta centimetri di terra in più formando il "paparuottu" o cono molto largo, che serve ad attenuare la calura dei raggi solari e per piantarvi il palo di canna. Questo serve a sorreggere la vite nell’ammazzolatura o "ammazzunatura" procedendo quindi al trattamento con polvere di zolfo e solfato di rame, che prima si faceva a mano libera, poi con la "caffittera", quindi con il soffietto a due mani e ultimamente con la pompa a spalla per solforare.

Tale trattamento veniva fatto tutte le volte che il tempo lo richiedeva, cioè nelle giornate di caldo umido per evitare che la vite si ammalasse di peronospora, e fu introdotto sistematicamente dopo la grave crisi vitivinicola avvenuta dal 1798 al 1801 con il "morbo nero".

..., siciliano Marru.








Attrezzo, di costruzione artigianale, in ferro temperato a sezione quadrata, a forma di "U" rovesciata con le estremità appuntite e al centro un occhio, pure in ferro, in cui si introduce il manico in legno. Serve per muovere e raccogliere il concime stallatico, per cui anticamente era altamente offensivo dare del "marru" ad una persona.

Coffa, dallo spagnolo Cofa, in siciliano Cufinu.

Cesta di forma tronco conica, di costruzione artigianale, è costituita interamente in verga di quercia, castagno o olivastro, per essere robusta in quanto, usata per materiali vari o per il concime stallatico, era soggetta ad essere battuta per farlo cadere.

..., in siciliano Cancieddu i fumieri.


Di costruzione artigianale, è interamente realizzato con strisce lunghe di canna messe a bagno nell’acqua e quindi intrecciate nello scheletro, o ossatura, fatto di sole verghe di olivastro di cui, a distanza, vi sono altre strisce per rinforzo. Questo grande cesto, poichéserve per il trasporto del concime, ha il fondo apribile, in modo da spargerlo mentre l’animale, che lo porta a barda, cammina.

Scaletta, dal latino Scala,in siciliano Scalidda.

Essa è costruita artigianalmente interamente in legno sgrossato e si compone di due sbarrette corte che dividono in tre spazi le due sbarrette lunghe e robuste, dove sono incastrate e alle cui estremità sono ricavati, grazie al taglio del legno, altrettanti uncini. Questi servono per legarvi gli oggetti da trasportare sul dorso degli animali, dove la "scalidda" veniva fissata nel senso della lunghezza con una cinghia al centro, che passava sotto la pancia dell’animale.

Essa, costruita artigianalmente, è interamente in ferro battuto e si compone di due sbarrette corte e piatte che dividono, in tre spazi, i due lunghi tondini di ferro in cui sono imperniate e che hanno le estremità ricurve verso l’interno formanti altrettanti uncini. Questi servono per legarvi gli oggetti da trasportare sul dorso degli animali, dove la "scalidda" veniva fissata nel senso della lunghezza con una cinghia al centro, che passava sotto la pancia dell’animale.

Zappa, dal latino Sappa, in siciliano Zappa







Attrezzo, di costruzione artigianale, in lamina di acciaio larga e leggermente ricurva con quattro lati, di cui uno a falce, mentre quello opposto ha un occhio dove si introduce il manico in legno, che viene impugnato con tutte e due le mani per zappare la terra non pietrosa. Era usata nei terreni particolarmente larghi di Acate, Comiso e Vittoria, per la coltivazione della vite.








Forbice, dal latino Forfex (acc. Forficem), in siciliano Fuorfici i putari.


Forbice, tipica dell’artigianato vittoriese, interamente in acciaio con il dado romboidale, per cui veniva dotata di apposita chiave che faceva pure da giravite, in modo da potere smontare non solo la forbice, ma anche la lama da taglio per facilitarne l’affilatura. Questo esemplare ha incisa una "C", che è l’iniziale dell’ex potatore Cognata Giovanni di Vittoria.


Chiave, dal latino Clavis, in siciliano Ciavi.


Costruita artigianalmente in ferro battuto, appositamente per dadi romboidali, funge con l’altra estremità da giravite e serve per smontare completamente la forbice da potare, tipicamente vittoriese, riportata nella foto esplicativa.

Cote, dal latino Cos (acc. Cotem), in siciliano Cuticcia.







Ciottolo di fiume usato per affilare e rifinire il taglio degli attrezzi
come forbici, ecc..

..., in siciliano Caffittera i ‘nsurfarari.

Contenitore cilindrico, di costruzione artigianale, in latta, che dal lato opposto al tappo è tutto bucherellato per spolverare di zolfo le viti nelle giornate di intenso caldo umido. Si impediva così l’insorgere della peronospora, chiamata anticamente "morbo nero", per cui appunto fu introdotta questa pratica di spargere lo zolfo in polvere contenuto nella ciotola prima con le mani, spesso con conseguenze per la salute.

Soffietto, dal latino volgare Sufflatorium, in siciliano Surfarola.


Soffietto a mantice marca "Vermarel" di Casale Monferrato. Deriva dal mantice del fabbro ed è costruito in legno, latta e cuoio che, piegato a fisarmonica, costituisce il mantice vero e proprio. Il soffietto veniva impugnato con le due mani che, quando si allargavano provocavano l’aspirazione dell’aria, e chiudendole l’aria veniva espulsa assieme a una minima parte dello zolfo posto nel contenitore. Questo sistema consentiva una solforata razionale della vigna, superiore a quella fatta con la "caffittera".

Soffietto a mantice marca "Quattro stelle". Deriva dal mantice del fabbro ed è costruito in latta e cuoio





Pompa, dal francese Pompe, in siciliano Pompa i ‘nsurfarari.





Pompa da inzolfare di forma cilindrica marca "Ideal". È costruita interamente in latta e veniva portata sulle spalle grazie a due cinghie di canapa cosicché, mentre con la mano sinistra, innalzando e abbassando una leva, si azionava il mantice per far uscire lo zolfo in polvere, con la mano destra, grazie ad un tubo di gomma flessibile collegato ad una cannula di latta, si indirizzava lo zolfo al posto desiderato.

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