mercoledì 26 gennaio 2011

"U PALLUMMIENTU"ossia il palmento greco

Successivamente l’uva veniva ripestata con pesanti scarponi chiodati e ridotta in poltiglia, alla fine della pigiatura con forconi e pale di legno veniva buttata nel tino, dove si era raccolto l’ulteriore succo, lasciando il tutto a macerare e fermentare per almeno 12 ore. Ciò consentiva di avere un vino corposo, di largo consumo in tutta la Sicilia specie nell’interno, mentre lasciando fermentare nel tino il mosto da 36 a 48 ore si ottenevano i vini rossi da taglio che servivano per colorare e aumentare il contenuto alcolico dei vini leggeri, migliorandoli.

Finita la fermentazione, si procede alla torchiatura delle vinacce separandole dal mosto con i "cancidduzzi i sfussari", cioè uscire dal fosso (ossia tino) la poltiglia dell’uva che veniva ammassata nell’"aria" di centro per la spremitura. Questa avveniva nella pressa tradizionale, inventata nel periodo greco, che era costituita da un lungo e grosso tronco di pianta di "ruvulu" (ossia quercia) che, come si può vedere dalle schede 39, 47 e 48, era incernierata alla base nel finestrale di centro esistente sul muro di fondo del palmento.

Il tronco, posizionato orizzontalmente, attraversava tutto il piano inclinato o "aria" di centro e il corrispondente tino arrivando oltre il centro del palmento con l’altra estremità a forma di forcella o di V. Qui, le due estremità erano collegate da un grosso tronco forato a cui si avvitava una lunga vite in legno duro di quercia. A questa vite, in basso, era fissata, con un grosso bullone di ferro detto "monicu", la "cianca", che era un grosso tamburo di calcare in pietra viva di Comiso.

Portato il braccio della pressa quanto più in alto possibile si accatastavano all’altra estremità, a forma di parallelepipedo, i raspi e i chicchi pressandoli bene e ritagliandoli con l’apposita accetta del palmento. Quindi, coprendo tutto con grossi "cippi" ossia traverse, si faceva abbassare il tronco girando al contrario la vite, posta all’altra estremità, fino a quando la "cianca" restava sospesa.

Si aveva così una leva di 2° genere, con il fulcro sul muro retrostante del palmento, la resistenza era costituita dai raspi al centro e, all’altra estremità, la forza costituita dal grosso e pesante tamburo di pietra che lentamente ritornava a poggiare sul pavimento. Questa operazione veniva ripetuta più volte dopo aver fatto la "scuozzula", cioè togliere dalle vinacce spremute i raspi più grossi eseguendo la diraspatura ossia "sgrappunatura".

Questo tipo di pressa, che costituisce una delle prime macchine inventate dall’uomo nel periodo greco, veniva utilizzata fino a tutto il 1800 ed oltre, quando veniva progressivamente sostituita dal nuovo "cuonzu" o torchio, copiato su quello per l’estrazione dell’olio dalla pasta delle olive, pure di origine greca.



Forcone, dal latino Furca, in francese Forche, in siciliano Furcuni.

È costruito artigianalmente con quattro pezzi di legno lavorato, di cui il più lungo e grosso costituisce il manico che all’estremità più grossa ha fissate, con chiodi e una cordicella di "curina" della palma nana, le tre punte leggermente arcuate dette "ianchi". Serve nel palmento per raccogliere la poltiglia dell’uva, dopo la seconda pigiatura, e buttarla nel tino per la fermentazione del mosto.

Pala, dal latino Pala, in siciliano Pala.
È costruita artigianalmente, generalmente da un unico pezzo di legno di faggio, lavorato in modo da lasciare, alla fine del lungo manico cilindrico, una tavola abbastanza larga sagomata in modo da poter raccogliere, nell’"aria" laterale del palmento, i chicchi e la polpa dell’uva che sfuggono al forchettone, per buttarli nello stesso tino col mosto.

... in siciciano Cancidduzzu i sfussari.


È costruito artigianalmente su una struttura radiale in verga a cui si intrecciano lunghe strisce di canna utilizzate quando non del tutto secche, diversamente devono essere messe a bagno nell’acqua. Ha una forma leggermente troncoconica con due manici contrapposti sui lati, è poco profondo e rifinito con un orlo in verga. Serviva per uscire dal fosso, ossia tino, la poltiglia e i raspi dell’uva da spremere nella pressa del palmento greco.

Accetta, dal francese Hachette, in siciciano Accetta.
Attrezzo da taglio, costruito artigianalmente, a forma di cuneo con leggera testa sopra l’occhio. Ha un lungo manico ed è simile alla scure e all’ascia. Serviva per spaccare la legna, ma nel palmento serviva a ritagliare la poltiglia dell’uva che siaccatastava per la spremitura e per battere, con la parte opposta ossia la testa, i "cippi", ossia le traverse da sistemare prima di abbassare la pressa del palmento greco.

Forcella, dal latino Furcilla, in siciliano Furcedda.
Fotografia vendemmia anni ‘70 in C.da Serra d’Elia, con particolare del palmento Busacca-Marangio relativo all’innalzamento della forcella o leva di secondo genere, che così consentiva di accatastare all’altra estremità prossima al fulcro la poltiglia dell’uva da pressare.

Cianca, dallo spagnolo Zanca, in siciliano Cianca.
Fotografia vendemmia anni ‘70 in C.da Serra d’Elia, con particolare del palmento Busacca-Marangio relativo all’innalzamento della "cianca" trattenuta dal "monicu" al "vituni", o gamba, che, con l’altra estremità, si avvitava alla forcella per fare forza sulla leva di secondo genere che pressava, all’estremità prossima al fulcro, la poltiglia dell’uva.

Nessun commento:

Posta un commento